Il 28 luglio, assieme ai partecipanti di PMI Academy, abbiamo parlato con Giuliano Trenti del suo libro: “Neuromaketing Applicato: un approccio scientifico al marketing del futuro (edizione Hoepli, 2021)”.
“Una delle cose più singolari che posso riferirvi”, inizia da subito l’autore Giuliano Trenti, “è che vent’anni fa non avrei mai pensato di trovarmi qui, davanti ad un pubblico come il vostro, a presentare un mio libro”.
Se c’é una cosa difficile da fare nel modo del lavoro (e forse non solo in quello), è usare la conoscenza disponibile per mettere a terra progetti innovativi, capaci di arricchire l’esperienza dei clienti e allo stesso tempo fare la fortuna dell’organizzazione per cui lavoriamo. Ma è questa la premessa di fondo che si percepisce: non ci sono scorciatoie per fare bene un lavoro, e il neuromarketing non è un metodo che dà delle soluzioni buone in tutti i contesti.
Racconta l’autore da dove ha preso inizio la sua esperienza, da una vicenda dolorosa di un fallimento che ha coinvolto anche la sua famiglia, ma anche dalle domande che allora si poneva. C’è un metodo scientifico per assicurarsi il successo commerciale di un’iniziativa? È possibile ridurre il livello di incertezza rispetto alle decisioni che si devono prendere? Le scienze cognitive ci danno delle risposte che possono essere poi tradotte in strumenti?
Da queste premesse, che allora avevano anche un po’ la veste di ossessioni, è iniziata la grande avventura, prima nel laboratorio di economia sperimentale dell’Università di Trento, e poi, successivamente, con la società di consulenza di Neurexplore, di cui è presidente e fondatore.
Ma alla fine cos’è il neuromarketing? Dalle parole di Giuliano si capisce che è una grande opportunità. Se da un lato consente di “potenziare” le performance delle strategie di marketing tradizionali (con numeri che vanno a doppie cifre), dall’altra è anche un formidabile sistema di analisi che consente anche di far emergere “ipotesi” nuove sui possibili sviluppi, cercando di analizzare tutte le variabili del sistema.
La realtà in cui viviamo, e le forze che ci governano sono troppo complesse per essere ridotte ad alcuni semplici ed efficaci strumenti o metodi.
Nelle pagine del libro si potrà scendere nei particolari della neurobiologia del desiderio o del concetto di ricompensa, individuare i principali bias cognitivi che si generano inconsapevolmente e che condizionano in modo radicale in nostri comportamenti.
- i particolari in un sistema di marketing contano. Eccome. Non nel senso che sono tutti importanti (questo sarebbe un ragionamento banale), ma che sono identificabili solo successivamente, e non sai mai in anticipo quale sia quello che conti di più. Possiamo fare un’analisi di quello che ha funzionato o non funzionato solo quando le cose sono accadute. L’autore porta un bell’esempio che non trascriviamo qui (lo trovate ben argomentato nel testo del libro – ne riportiamo uno simile e che potete leggere alla fine del testo*);
- non perdo mai, o vinco o imparo. Il marketing per un’impresa non dovrebbe mai essere un sistema chiuso, dove l’unico esito da osservare è il seppur importantissimo rapporto tra investimento e fatturato generato. In termini complessivi oggi si è capito che è utile invece predisporsi a costruire sistemi capaci di retroagire sulla progettazione in modo veloce e dinamico, utilizzando più informazioni possibili, e mettendole sempre in relazioni tra di loro. In termini generali, costruire sistemi di marketing “neuro oriented” è più un atteggiamento, una filosofia, un orientamento che sfida la complessità dei problemi emergenti utilizzando tutte, ma proprio tutte, le conoscenze che oggi abbiamo;
- è una miniera di informazioni che possono stimolare ipotesi, riflessioni, decisioni. Accedere a una vasta documentazione sperimentale è una via piuttosto interessante per “patrimonializzare” numerose esperienza che altre imprese hanno avuto prima di noi, e poterne leggere, poi, in modo codificato e argomentato, gli esiti e le conclusioni. Non è un caso se l’editore con il quale Trenti ha pubblicato, dedica un’intera collana al tema del Neuromarketing. In un panorama ad elevata incertezza, l’azione manageriale è “research based”, guidata dal metodo sperimentale su ipotesi emergenti. E se non si hanno le risorse per poter attivare un’indagine a casa propria, è utile “scovare” qualcosa di simile che ci possa “ispirare”. Figure professionali, come quella di Trenti, sono l’anello di congiunzione tra l’accademia e l’impresa, e sono quindi particolarmente preziose e importanti (oltreché rare).
Creare contesti formativi capaci di ottimizzare al massimo il processo di acquisizione delle informazioni, per poi valorizzarle al meglio nella fase di elaborazione ipotetica rispetto al proprio contesto, è una nostra priorità.
*durante la conferenza “il brand oltre la pubblicità” nel ben lontano 2006, Manuela Morpurgo senior partner della McCann Erikson Italia raccontò un episodio accaduto nel corso della campagna That’s amore, che ebbe comunque un ottimo successo commerciale. Il lancio del marchio della Unilever che commercializza tutt’oggi prodotti surgelati di quinta gamma, fu preceduto da una costosissima campagna pubblicitaria, costruita su tre assi: prodotti, packaging e messaggi innovativi. Si partì con un prodotto surgelato primo piatto che ebbe inizialmente un eccellente successo commerciale. Spinti dal successo della prima attività si passò presto al secondo step, che prevedeva il lancio di un preparato surgelato di filetti di merluzzo. Ma in questo caso le cose cambiarono radicalmente. Il prodotto non si riusciva a vendere. Fu potenziato il battage pubblicitario ma senza nessun risultato. Fu convocata un’equipe d’emergenza per studiare il caso, attraverso molteplici strumenti di rilevazione, sia qualitativa che quantitativa. L’illuminazione venne quando si decise di cambiare il packaging. Si passò dalla livrea arancione propria della nuova corporate del marchio, a una più tradizionale, azzurra, in sintonia con le altre label del reparto pesce surgelato. Le vendite ripartirono e il danno fu man mano riassorbito. Ricordiamo che allora, tra i presenti all’incontro serpeggiò un po’ di ironia. Tutti erano stupiti che errori così “grossolani” vengono fatti anche dai colossi della pubblicità, che possono permettersi le migliori menti e i consulenti meglio preparati sul mercato. Tuttavia sappiamo che ancora oggi queste cose accadono, e come ci raccontava Giuliano Trenti tutt’altro che in modo isolato. A quindici anni di distanza ci si chiede cosa avrebbe potuto dire il Neuromarketing su questo episodio, quali spiegazione potevano emergere e quali indicazioni potevano essere colte per evitare di generare inconsapevolmente un vero e proprio “disallineamento cognitivo” nel consumatore, generando poi il conseguente fallimento della campagna pubblicitaria.