Il richiamo al famoso libro di Raymond Carver, “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, non è casuale e non vuole essere una facile battuta ad effetto. La Strategia Aziendale risulta ai più inafferrabile ed eterea né più né meno dell’amore di cui ci parlò lo scrittore americano.
Eppure la Strategia in azienda, come l’amore tra le persone, è dappertutto: pervasiva, invisibile ma onnipresente dietro ogni azione e attività venga eseguita dall’impresa. Non esiste una qualsiasi organizzazione– profit o meno, privata o pubblica- che non sia mossa da una qualsivoglia Strategia. Il più delle volte, però, tali organizzazioni non lo sanno. Le Strategie che utilizzano sono implicite e adottate inconsapevolmente, così strettamente integrate nelle attività che svolgono che sono ritenute immutabili.
La causa profonda della difficoltà delle aziende di adeguarsi al “cambiamento”, così frequentemente necessario oggi, è l’incapacità di distinguere le attività operative quotidiane necessarie a “mandare avanti” l’azienda, dalle Strategie che le ispirano, al fine di modificare queste ultime e riprogettare e ri-orientare le prime. Ma come si fa a “distinguere e riconoscere separatamente” la Strategia dalle Operation, il famoso Business-as-Usual? Come si fa a parlare di “Strategia”? Si ripropone il quesito iniziale, nella forma suggerita da Carver, ma (spero) con una maggiore chiarezza e, soprattutto, con maggiore urgenza.
La parola Strategia deriva da strategós (στρατηγός) che vuol dire “condottiero d’esercito“. Il termine strategós (στρατηγός) è composto dalle due parole stratós (στρατός) il cui significato è esercito o armata, ma anche distesa o pianura, e agós (ἀγός) che vuol dire guida, condottiero. Dunque tratta del rapporto di un soggetto, l’esercito, con il suo ambiente, la distesa dove si svolge la battaglia (e dove ci sarà anche l’esercito nemico), e le modalità di relazione del primo nel secondo. Generalizzando, la Strategia può essere definita come lo studio del possibile rapporto di un qualsiasi “sistema” (esercito, azienda, persona, eccetera) con il suo “ambiente” (territorio, esercito nemico, mercato, concorrenti, clienti, colleghi, avversari, e così via). Da qui discende la sua rilevanza, poco consapevolizzata, che porta ad usare la parola “Strategia” o “strategico” ogni qualvolta si vuole indicare qualcosa di importante, vitale, di lungo termine.
Tornando nell’ambito aziendale, la Strategia descrive il rapporto che l’impresa decide di instaurare con il suo multiforme ambiente di business. Questo abbraccia tutte le dimensioni del sociale, gli stakeholder: clienti, fornitori, il mondo finanziario, quello istituzionale, il sistema dei media e altri. Essendo l’azienda un sistema con un ‘metabolismo’ continuo, la Strategia è una “direzione” che indica dove rivolgere le attività operative. Per esemplificare uso una metafora geografica. Le possibili direzioni verso cui muoversi su un territorio sono quattro- Nord, Sud, Est, Ovest- o una composizione di queste- Nord-Est, Sud-Ovest, eccetera. Ovviamente i punti cardinali non sono un “obiettivo”, non c’è un luogo chiamato “Nord” da raggiungere. Per andare a Nord, e rendere esecutiva la direzione, dovrò scegliere un luogo. Se sono a Roma andare verso Nord può essere realizzato raggiungendo Milano. Viceversa, se mi muovo in direzione di Milano sto andando verso Nord. Il Nord è la direzione, il viaggio a Milano è l’attività operativa che mi consente di rendere concreto il movimento verso la direzione scelta. Ma la scelta della direzione, non del viaggio, ha conseguenze pratiche sul risultato del viaggio stesso. Andare verso Nord significa trovare una temperatura più bassa d’inverno, giornate più lunghe d’estate, flora, fauna e popolazione diverse. Se lo stesso viaggio, cinque ore di auto, venisse fatto in direzione Sud, i risultati sarebbero differenti. Inoltre raggiungere Milano da Roma, Sud verso Nord, non è la stessa cosa che raggiungere Milano da Berlino, Nord verso Sud. È dunque, ancora una volta, la direzione scelta che determina cosa otterrò, non il viaggio (e men che meno l’obiettivo, ovvero la destinazione finale).
È facile immaginare una trasposizione, mutatis mutandis, in ambito aziendale. La ‘direzione’ è la Strategia, mentre il ‘viaggio’ sono le attività operative, le Operation, che la realizza. Ma mentre è facile riconoscere che se si viaggia verso Milano da Roma si va verso Nord è molto più complicato riconoscere una Strategia, la direzione, dalle attività che quotidianamente si eseguono. Per farlo è necessario, come nella metafora geografica, conoscere i ‘punti cardinali’, avere una ‘mappa’, dotarci di una ‘bussola’. Iniziamo dai primi rimandando ad altra sede la descrizione degli strumenti.
A differenza della geografia, i punti cardinali di nostro interesse sono cinque, suddivisi in due principali categorie: la “Genesi” e la “Competizione”[1]. Alla prima appartiene solo una Strategia, quella della Genesi Imprenditoriale. Alla seconda appartengono la Competizione di Qualità, la Competizione di Efficienza, la Competizione di Rappresentazione, la Competizione Ambientale.
Prima della breve descrizione di ognuna, è opportuno puntualizzare alcuni aspetti che caratterizzano la Strategia Aziendale rispetto alla metafora geografica prima utilizzata. La “direzione” Strategica, definita dalla Strategia, è sempre un mix delle Strategie fondamentali. Mentre sul terreno le direzioni possono essere una composizione solo di due punti cardinali (è possibile andare in direzione Nord-Est ma non Nord-Sud-Est), nel caso aziendale la Strategia sarà una risultante di tutte e cinque quelle fondamentali, con pesi diversi. Inoltre laddove i punti cardinali non hanno alcun legame temporale tra loro- intrapreso un viaggio se non si modifica la direzione questa rimarrà uguale- nel caso delle Strategie Fondamentali queste sono tappe di un “ciclo di vita” del significato dell’attività aziendale.
[1] Questa tassonomia è stata ideata da Francesco Zanotti (1950-2018)
Genesi Imprenditoriale
È la Strategia fondativa di un’impresa con l’intento non di adeguarsi ma di creare un ambiente totalmente nuovo nel quale prosperare. Chi adotta questa Strategia è animato dalla volontà di creare qualcosa che non esiste ancora, non è misurabile ed è ignoto anche ai suoi potenziali clienti. È la Strategia adottata da Steve Jobs quando si lanciò nella creazione dell’Iphone, ma anche nella trasformazione della Apple per produrlo. Ma fu anche la stessa Strategia adottata dall’Ingegner Enrico Piaggio quando, dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale, volle creare un nuovo modello di mobilità, grazie alla ‘Vespa’, accessibile a tutti, da chi non poteva permettersi un’automobile alle donne. Di esempi di questo tipo ve ne sono in ogni angolo del globo. È facile poi immaginare, dai successi di chi ci è riuscito, quali possono essere le conseguenze sui risultati economici di una tale Strategia.
La Competizione
Una Genesi Imprenditoriale può non avere successo. In questo caso l’iniziativa fallisce, gli investitori hanno perso i loro soldi e nessuno, o pochi, ne sa più nulla. Se invece ha successo, questo si traduce nella creazione di un mercato totalmente nuovo che è visibile anche agli altri. E arrivano i concorrenti. L’ingresso dei concorrenti non è di per sé una cattiva notizia. All’inizio servono a stabilizzare il mercato, dargli una forma e farlo crescere in modo migliore di quanto non possa fare il suo creatore da solo. Quando però il mercato si stabilizza, sorge per ognuno il dilemma di come differenziarsi dai concorrenti. A questo punto vi sono due opzioni: lanciarsi in una nuova Genesi Imprenditoriale oppure tuffarsi nell’arena competitiva. La storia e la cronaca quotidiana mostra che la stragrande maggioranza delle aziende sceglie quest’ultima. Anzi molte aziende nascono esclusivamente per competere e, addirittura, in passato si è teorizzato l’esistenza esclusiva del contesto competitivo[1].
Competere non è certo un crimine, ma viene dimenticato che è un destino già scritto che porta inesorabilmente al fallimento. Infatti una volta entrati nella competizione si è costretti, passo dopo passo, a realizzare ogni singola Strategia competitiva. Ogni fase Strategica determina molti perdenti, coloro che hanno perso la competizione, ma nessun vincitore, perché chi sopravvive è al pari degli altri rimasti in gioco ed è costretto, in assenza di altre opzioni (una nuova Genesi Imprenditoriale) al livello successivo di competizione. Va aggiunto che ogni livello competitivo peggiora i principali indicatori economici: prima la cassa, poi i margini, per ultimo il fatturato. Ma quali sono le caratteristiche delle Strategie Competitive? Eccole.
Competizione di Qualità
La differenziazione è sulle caratteristiche superiori del prodotto o servizio. L’attenzione delle aziende qui non è più sul “mondo”, per crearne uno nuovo, ma solo sui concorrenti allo scopo di fare meglio, in termini di qualità e funzionalità.
Competizione di Efficienza
Quando coloro che non sono riusciti a competere sulla qualità sono usciti dal mercato, chi rimane ha lo stesso problema di differenziazione di prima. Si decide allora di competere sui costi: fare bene i prodotti e i servizi ma offrirli a meno. Lo sguardo in questa fase è sull’interno, alla ricerca del superfluo e di quelle pratiche che garantiscono risparmio ed efficienza. La ricerca delle best practices però si rivela ben presto essere solo il modo migliore per essere uguali agli altri. E il gioco riprende.
Competizione di Rappresentazione
Rimasti in gara coloro che offrono i migliori prodotti al prezzo più basso, questi hanno di nuovo il problema della differenziazione della propria offerta dalla concorrenza. Si cerca allora di costruire un valore che non esiste, una “protesi di identità” che consenta di dare al prodotto, e a chi lo compra, delle caratteristiche che sono solo evocate. Per farlo basta solo comunicarle. È il tempo del marketing e della pubblicità, tipico delle commodity e dei prodotti di largo consumo i quali, essendo intercambiabili, hanno necessità di raccontare una specificità che non hanno nelle loro funzionalità o nel prezzo. Per rendersi conto di chi è in questa fase strategica, basta guardare la pubblicità dei piani telefonici, gli shampoo, il tonno in scatola eccetera.
Competizione Ambientale
Quando anche la gara sulla comunicazione si è esaurita, rimangono sul ring un manipolo di pugili rimbambiti dalle botte che si sono dati e, soprattutto, senza forze economiche per poter fare altro che chiedere aiuti. La loro unica opzione è allora entrare in competizione per sussidi di sopravvivenza da parte degli stakeholder (banche, amministrazioni, accordi sindacali, eccetera) allo scopo di sostenere un presunto “rilancio” (la famosa gestione delle “crisi d’impresa”) che in mancanza di una nuova Strategia, così difficile da riconoscere, non accadrà mai.
Le scelte strategiche sono allora scelte innanzitutto “filosofiche”[2], disponibili a chiunque abbia il coraggio, prima ancora della capacità, di esserne consapevole e realizzarle. Adottarle e vederne la coerenza con le attività operative è possibile dotandosi di opportuni strumenti. Questi, per essere davvero efficaci, dovranno evidenziarne le previsioni dei possibili risultati economici. La “competizione” dunque non è un destino, ma una scelta.
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Modello_delle_cinque_forze_competitive_di_Porter . Per alcuni commenti critici sul lavoro di Porter https://imprenditorialitaumentata.blogspot.com/2014/03/m-porter-la-fine-di-un-mito.html e https://imprenditorialitaumentata.blogspot.com/2011/03/porter-e-il-capitalismo-da-reinventare.html (accesibili al 10 febbraio 2022).
[2] https://docs.google.com/viewer?a=v&pid=sites&srcid=ZGVmYXVsdGRvbWFpbnxkb2Njc2UxfGd4Ojc5ODRmZTU3MmE4ZTQ2NGI (accessibile al 10 febbrio 2022)