In questi giorni di permanenza forzata a casa leggo molti inviti a utilizzare il tempo a nostra disposizione per lavorare sulla pianificazione delle nostre attività future. Anche nella rubrica su Facebook e LinkedIn di Accademia d’Impresa “La parola alle aziende: tra difficoltà e opportunità” ci sono tante testimonianze di persone e organizzazioni che stanno lavorando per preparare il futuro, ragionando sulla strategia, su tattiche, su azioni e investimenti. Il mio invito è di aggiungere a queste attività anche qualche ragionamento, anche solo abbozzato, che ti orienti verso la realizzazione del tuo piano di formazione personale. L’obiettivo è stilare un vero e proprio documento che ti consentirà di avere sempre a disposizione in modo organizzato tutte le idee e le riflessioni per gestire le tue attività formative e di aggiornamento.
Ma perché formulare un piano di formazione personale?
Le parole “piano di formazione” ad alcuni di voi sono sicuro attivano una spontanea associazione mentale ad adempimenti burocratici per ottenere finanziamenti da fondi o progetti, oppure a documenti di uffici HR di grandi imprese per la gestione del personale. Attività importanti e necessarie, ma senza dubbio poco amate.
Anche se cerchi su “Google” non troverai granché, se non qualche riferimento legato alla scuola dell’obbligo o a quella di aggiornamento dei docenti.
Nella realtà, però, la mancanza di uno strumento professionale che aiuti i soggetti a orientarsi nel selezionare, pianificare e valutare le attività formative personali, si sente.
Nella mia esperienza diretta, infatti, non mi è mai capitato di trovare un interlocutore che avesse una “road map” delle sue attività formative, anche abbozzata o informale. Ho visto qualche appunto in agenda, qualche promemoria, ma niente più.
Il mondo di oggi impone strumenti di orientamento e pianificazione per ognuna delle attività fondamentali per organizzare il lavoro, e questo vale, secondo me, anche se si tratta delle attività dedicate al miglioramento di noi stessi.
Ma perché è importante avere oggi un piano di formazione personale?
Queste sono in massima sintesi le tre ragioni principali:
- un mondo fatto più di abbondanza che di scarsità: anche in termini di proposte di formazione tradizionale (corsi, aula) che di proposte di e-learning (piattaforme mooc, scuole di formazione specializzate che propongono corsi full online con certificazione di frequenza), ci sono oggi sempre più soggetti che entrano nel mercato della formazione, e le proposte si moltiplicano. È chiaro che rispetto ad un tempo abbiamo un problema nuovo, e questo problema si chiama “selezione”. Avere un buon piano di formazione individuale ti aiuterà molto in questa delicata operazione di cernita delle offerte;
- l’incertezza: una caratteristica del tempo di oggi che impatta fortemente anche sulla formazione individuale. La mancanza di “visione” è molto pericolosa perché espone te o l’organizzazione per cui lavori, ad adottare criteri selettivi validi solo per l’attualità, e che sono legati a mode passeggere. Chi fa il mio mestiere conosce molto bene questo fenomeno, che diventa, purtroppo, maggiormente aggressivo e pervasivo man mano che passano gli anni. Se vuoi vendere un corso, si dice, basta usare nella proposta una parola alla moda il mercato ti risponderà. La mia ipotesi è che manchi spesso tra i destinatari, un orientamento strategico di fondo nella gestione della propria formazione, e questo rende i soggetti più esposti alle persuasioni del marketing;
- lo sviluppo delle carriere: tutti noi siamo consapevoli che le carriere oggi si fanno soprattutto in modo orizzontale, in riferimento a una gerarchia di merito basata sulle competenze, e spesso, su proposte (anche dirette) da parte di altre organizzazioni. Non c’è dubbio che organizzare gli investimenti formativi personali in modo sistematico sia un vantaggio, perché svilupperà un percorso ragionato e contribuirà a dare valore al tuo profilo professionale (oggi sempre in evidenza su LinkedIn).
Ecco allora 5 consigli per ideare un piano di formazione personale:
- non aspettarti che siano gli altri a indicarti la strada: sembra banale ma alla fine è quello che avviene molto frequentemente quando parliamo di formazione. È diffusa l’idea che della tua formazione si occupi l’azienda per cui lavori, o se sei un professionista, il tuo ordine professionale. Crediti, fondi e incentivi sono opportunità certo, magari molto efficaci e vantaggiose, e vanno sicuramente sfruttate in tutte le loro potenzialità. Ma accettare acriticamente una proposta dall’esterno non può essere un’azione formativa completa per definizione, anche se i percorsi prescelti sono eccellenti. La risposta ai tuoi fabbisogni formativi presuppone la tua partecipazione in un percorso che è lungo, articolato, e soprattutto coerente nel tempo. I corsi e le attività formative, in genere, sono strumenti per la tua formazione, non finalità assolute, nello stesso modo in cui i farmaci sono spesso la via più efficace per tentare di affrontare una patologia, ma quasi mai sono l’unica arma che possiedi verso la guarigione (ad essi vanno associati quasi sempre radicali cambi di abitudini e di stili di vita). Nella formazione continua le proposte sono necessariamente standard, perché rivolte a molti, e i risultati e le ricadute non si vedono subito. Ed è per questo che spesso generano insoddisfazione. Il primo suggerimento che ti posso dare è di considerare la formazione come un percorso continuo in cui definisci costantemente gli obiettivi, selezioni gli strumenti, pianifichi gli investimenti, valuti con metodo i percorsi e le fonti a cui hai avuto accesso alle informazioni, e allo stesso tempo selezioni con cura quelle future. Ti puoi fare aiutare certo, ci sono molte figure preparate che ti possono guidare in questo processo (selezionatori del personale, coach, esperiti di orientamento personale), ma nella sostanza deve essere qualcosa che appartiene solo a te, e non puoi delegarlo in toto a nessun’altro.
- specializzati in modo flessibile: quasi venti anni fa fui invitato a leggere “L’uomo flessibile” di Richard Sennet, un libro visionario e ancora del tutto attuale. L’accelerazione della vita contemporanea spinge le aziende produttive a rincorrere i consumatori, e il loro continuo cambiamento. La flessibilità con cui le organizzazioni sono chiamate a ridefinire costantemente la loro struttura genera dei paradossi che facciamo fatica a riconoscere: noi continuiamo a leggere le organizzazioni per cui lavoriamo con uno schema mentale che non ci permette di vederle per come esse sono veramente. Dove si crea la quota parte più significativa del valore? Dove si sviluppa veramente la strategia? Chi governa il cambiamento? Bene, nelle organizzazioni di oggi la risposta ai problemi non è più così rigidamente funzionalista e riconducibile allo schema elementare “mente braccio”, ai vertici c’è la mente e nel reparto produttivo il braccio. Tutto è più fluido e caotico. Ecco che allora, al netto di tutte le implicazioni sociali del caso, per il lavoratore volenteroso questa caratteristica del sistema è un’opportunità. Gli consente, attraverso nuove competenze, di sfruttare gli “spazi” che si creano dalle “esigenze” emergenti delle organizzazioni nel rispondere a problemi creati dalle pressioni del mercato.
Questo implica nel lavoratore la cura di tre abilità: individuare per primo, in modo strategico, quali saranno i problemi che emergeranno dalle esigenze di cambiamento che il mercato impone all’organizzazione. Acquisire poi, in modo veloce, le competenze per progettare risposte efficaci a questi problemi/opportunità e infine, non di ultima importanza, farsi riconoscere il valore generato da questo processo. Certo, mi direte voi, non sempre si riescono a raggiungere gli obiettivi. In questo caso è necessaria un’ulteriore abilità: aiutare l’organizzazione a orientarsi correttamente al cambiamento e all’innovazione. In massima sintesi, per tutti i lavoratori è particolarmente importante avere una capacità di lettura del presente, delle dinamiche interne ed esterne all’azienda, e non trascurare mai, accanto alla formazione di competenze specialistiche, anche l’impegno su temi “trasversali”, sulle competenze soft.
- lavora sul perché: se c’è una costante nella vita è che, nel tempo, le cose cambiano, e con le cose cambiano anche i significati che noi attribuiamo ad esse. Questo vale anche, con rarissime eccezioni, per le attività professionali. Cercare costantemente il “perché” rientra tra le attività di un buon piano di attività professionale, e richiede metodo e impegno. Lo sai che uno dei principali compiti dei formatori professionisti è mettere in crisi i partecipanti con domande all’apparenza banalissime? Queste “incursioni” nella vita dell’altro sono volute non tanto per mettere in difficoltà l’interlocutore, ma per far prendere consapevolezza a chi partecipa alla formazione di aspetti a cui spesso non dedichiamo abbastanza attenzione. A questo dobbiamo aggiungere che uno dei compiti principali che si pone la formazione è aiutare i destinatari a uscire dai loro schemi mentali, a mettere in discussione i pregiudizi, e nello stesso tempo motivarli a uscire dalla loro zona di confort, fatta di abitudini e di certezze. Recuperare costantemente la dimensione del senso, è un’attività che ha anche a che fare con la comunicazione, perché ne aumenta (di molto) l’efficacia. Non ci credi? Qui non posso sviluppare ulteriormente il discorso, ma se ti interessa l’argomento ti invito a guardare questo.
- scegli una strategia a due dimensioni e a tre velocità: la strategia è un concetto fondamentale per operare nel mondo di oggi, e va approfondito (in rete trovi molto materiale disponibile). Il mio personale consiglio, per declinare concretamente il concetto di strategia in un piano formativo professionale, è semplice. Innanzitutto dividi il tuo spettro di competenze in due, separando quelle che sono competenze di tipo “tecnico-specialistico” da quelle più soft, anche dette trasversali. Queste sono le due aree principali di lavoro, che dovrai a tua volta dividere in tre orizzonti temporali: di breve (anno), medio (generalmente 3 anni) e lungo periodo (dai 10 anni in su). Fissati degli obiettivi per ognuna di queste aree e avrai una mappa ideale del tuo per percorso di formazione professionale.
L’esempio qui sopra è piuttosto rozzo e semplificato, tuttavia ti sarai reso conto che è più semplice svilupparlo sulle dimensioni di Hard Skill piuttosto che su quelle trasversali. I confini sono più netti, gli obiettivi più chiari. Ma il punto è proprio questo: utilizzare uno schema ti serve per evitare di dimenticarti di aspetti della tua crescita che sono interrelati, e allo stesso tempo evitare di soddisfare solo le tue naturali inclinazioni, si prendere in considerazione solo le attività in cui ti senti più a tuo agio. Ultimo consiglio: se nel breve periodo puoi essere molto focalizzato (e sintetico), per il medio e lungo periodo devi impegnarti a essere ampia/o e descrittiva/o. Gli obiettivi di lungo e medio periodo possono essere aggiornati? Dipende. Ma questo a che fare con il punto successivo.
- prendi le misure: Umberto Galimberti in numerosi interventi di conferenze e seminari ama ricordare come, parlando di felicità, si richiama l’oracolo di Delfi: “conosci te stesso”. Il sottinteso è che se vuoi realizzare te stesso devi conoscere te stesso. Tutti però, continua il Professore, si dimenticano della seconda parte dell’oracolo, la più importante, che aggiunge alla prima parte del detto questa specificazione: “secondo misura”. La consapevolezza dei propri limiti è intimamente legata a un giusto percorso autonomo di realizzazione. Portare sé stessi dove realmente si vuole, nelle forme in cui veramente si può, non si lega solo al modo in cui siamo costretti a guadagnarci da vivere nel quotidiano, ma ha a che fare, soprattutto, con una certa idea di felicità.
Spero che ora sarai d’accordo con me che impiegare un po’ del tuo tempo nel formalizzare un piano di formazione individuale sia un’attività fondamentale del tuo lavoro, un metodo per dare ordine e disciplina su come progredire nelle proprie attività formative e di crescita personale.